«Accorgersi», il verbo del risveglio
Ma ci vuole coraggio per guardare in faccia ciò che c'è davvero qui e ora. Una rivoluzione dell'atteggiamento mentale che comporta un coraggio da leoni
Stavo pensando ai mesi appena trascorsi e a quello che hanno portato. Fare un bilancio serve non tanto per considerare quello che non c’è stato, quanto piuttosto per accorgersi di quello che c’è.
Accorgersi è il gesto più importante dell’esperienza di ricerca interiore, un gesto che presuppone un piccolo graduale e continuo risveglio che ci consente di accorgersi, appunto, della realtà per quella che è. In un’intervista di molto tempo fa, Niccolò Branca, industriale e ricercatore del profondo, l’ha definita la «realtà della realtà».
Non è semplice accorgersi di quello che c’è oggi, qui e ora, dentro e fuori di noi. Non è facile perché comporta un discernimento raffinato, che si può raffinare solo con la pratica quotidiana, e senza chiedere alla pratica quotidiana di portarci qualcosa, di darci effetti speciali.
Quanto più guardo pubblicità e promozioni di corsi yoga, meditazioni, esperienze sciamaniche, tanto più mi rendo conto che stanno cercando di venderci un prodotto, non di aiutarci a riappropriarci della nostra realtà.
La realtà è qualcosa che viene seppellita sotto tonnellate di pensieri, emozioni, tracce di esperienze negative (quelle positive le diamo per scontate, no?), metalli pesanti che opprimono l’anima e abbassano lo sguardo.
Ricordo una delle mie prime insegnanti di yoga che si accorgeva quando, durante la pratica, mi cadeva lo sguardo verso il basso e se ne accorgeva anche se avevo gli occhi chiusi. L’altro giorno durante la prima lezione dell’anno mi sono accorto che anche io ho acquisito questa capacità, non è un superpotere, basta accorgersi: ti accorgi perché osservi, ti fermi a osservare non per giudicare, ma per indirizzare, e vedi che la palpebra cade, che gli angolo dell’occhio sono più bassi, che la bocca risponde a questo gesto dello sguardo interno. Quando alzi lo sguardo, alzi anche l’energia e il tuo volto cambia.
Mi torna sempre alla mente l’indicazione della mia amica psicologa Fabia Schoss, «cammina guardando l’orizzonte, come fanno i Touareg nel deserto», gli «uomini blu». Non ho mai visto un Touareg, ma talvolta per la strada mi figuro sopra un cammello a guardare l’orizzonte. E qualcosa mi cambia dentro, muta la prospettiva, aumenta la consapevolezza (e spunta anche un sorriso).
La realtà non è un’esperienza facile da portare e da supportare: guardare con crudezza quello che c’è oggi in termini di sentimenti, di “sentire”, può essere traumatico. È una capacità che affini nel tempo e che necessita di un supporto anche fisico, oltre che mentale: a questo serve la progressione dello Yoga, guardatevi da chi vi promette l’illuminazione in 24 ore, qualsiasi cosa voglia dire la parola «illuminazione».
Preferisco usare la parola “risveglio” perché se anche accendi mille luci, se anche vedi tutti i santi del cielo, ma non ti accorgi di dove sei e di chi sei ora, stai solo perdendo tempo dietro ai fantasmi egoici. L’ego, nel senso deteriore del termine (perché c’è anche un ego sacrosanto…) è questo, è coltivare l’illusione di essere ciò che non si è. Qualsiasi esperienza psichica lascia il tempo che trova, ma scoprire la tua realtà oggi, così com’è, è sconvolgente. Occorre un coraggio da leoni per guardarsi allo specchio e rinunciare a dipingersi come un Dorian Gray qualsiasi (se non avete letto il libro di Oscar Wilde, è un buon inizio). Osservare le rughe, senza giudizio, ma prendendo coscienza di ciò che siamo ora, in questo istante.
Sottolineo la parola «ora» perché non siamo mai uguali a noi stessi, la parola «coerenza» andrebbe usata con prudenza, tenendo conto di ciò che siamo: la Baghavad-Gita dice che «la mente cambia di continuo e non rimane mai la stessa neanche un giorno. Essa cambia costantemente colore, come un camaleonte, è molto fluttuante e instabile».
E allora è evidente che il lavoro di «accorgersi» non finisce mai, non può che essere continuo, incessante, anche nei giorni in cui ciò che c’è non ci piace, anche quando capiamo di avere commesso una sciocchezza, quando ci sentiamo sporchi e sbagliati, quando scopriamo che l’immagine di noi è come quella del quadro di Dorian Gray e non quella dello specchio. Perché – per citare Rossella O’Hara e un film ormai finito all’indice per molti motivi – domani è sempre un altro giorno e domani noi non saremo quelli di oggi.
Un post per far riflettere, grazie! Io mi accorgo :-) che durante la meditazione se si muovano le palpebre, sto ospitando un pensiero. E ho notato che l'ultima parte del corpo che vuole rilassarsi ( in savasana ad esempio) è il police, o ditta della mano che muovendosi tradiscono lo stato mentale (più agitato rispetto quello che sembra il corpo da sdraiato post pratica).